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Cenni storici Hot

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Inviato da Redazione     06 Agosto, 2013    
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La Romana Natiolum (?/VII sec.)

Uscito dallo smembramento del vastissimo territorio della eroica Canosa, ultimo baluardo della resistenza pugliese contro i Romani, un gruppo di famiglie, in fuga dinanzi alla spinta di popoli più forti, si ricompose su di una serra di scogli in riva al mare verso la fine della Repubblica Romana, ed in ricordo del luogo di provenienza “in finibus Nitii”, ossia nel tenimento di Nizio (probabile veterano romano di guerra), si diede il nome di Natiolum, un diminutivo che rispecchiava le sue minuscole dimensioni (poche centinaia di abitanti).

Con tale voce è citata nell’itinerario Teodosiano di fine 300 d.C., come si ricava dalle note tavole Peutingeriane, ma la tradizione già la ricorda evangelizzata dall’Apostolo Pietro, fortificata dall’Imperatore Traiano verso il 105 e fornita di chiese ai tempi di Costantino il Grande. Poi seguirono le invasioni barbariche, e c’è da credere che la località, forse per la sua posizione strategica e logistica, sia stata risparmiata dalle rovine, giacché nel sec. VI merito l’elevazione a Diocesi, prova evidente di una certa consistenza civile ed ecclesiastica raggiunta con l’afflusso degli stranieri e dei Greci. L’ultima citazione della città col nome Natiolum si trova nella “Anonymi Ravennatis Cosmographia” di fine secolo VII, cui segue un periodo piuttosto lungo di assoluto ermetismo della storia. Ma si era già in piano Medio Evo. Oggi, all’infuori di brandelli murari dell’epoca traianea e di androni sotterranei ritenuti catacombe della tradizione, più nulla si vede di Natiolum, che giace seppellita sotto la Juvenatium, e compressa fra l’antica emergenza degli scogli e l’attuale livello stradale. Si tratta di una enorme intercapedine dello spessore di circa 10 metri, frazionata in numerosi pozzi e scantinati, della cui esistenza fanno fede la Cripta della Cattedrale con l’attiguo cimitero e le profonde strutture murarie che reggono il Palazzo Ducale.

 

La medioevale Juvenatium (VIII/XVIII sec.)

La storia tace sul passaggio da Natiolum a Juvenatium; un documento del 938 però, relativo alla ricostruzione della ex chiesa di San Felice, cita il greco Cinnamo “iudex et spatharius” di Jubenatia. Dunque Natiolum non c’era più, ed al suo posto figurava Juvenatium (=Juvene-Natiolum), che, totalmente rinnovata anche nella popolazione, viveva la sua seconda esistenza. E fu una storia lunga ben 10 secoli, fatta di alti e bassi, di gioie e di dolori, di splendore e di miserie. Latini, Greci, Longobardi e Saraceni furono i Giovinazzesi, che giunsero alla conclusione del primo millennio pieni di entusiasmo e pronti ad esplodere nell’epopea normanna, nelle crociate e nello sfolgorio svevo. Quei gloriosi anni furono cantati dai concittadini Guglielmo Appulo e Matteo Spinelli, ma erano troppo belli per durare  lungo e ad un cenno della Grande Politica accorsero gli Angioini, i Durazzeschi, gli Aragonesi, il Vicereame di Napoli, il nuovo regime baronale ed i Borboni, trasformatisi tutti in autentici boia per punire Giovinazzo e la Puglia, con le carceri, le espropriazioni, l’abbandono, l’analfabetismo e la esosità fiscale. Così la città giunse al secolo XVIII, stremata di forze, malmenata e ridotta ad appena 4.500 abitanti; e sarebbe scomparsa per sempre, se ancora una volta nei cittadini l’anelito a non morire non avesse colto e sfruttato un episodio favorevole della storia e non avesse dato origine alla terza esistenza.

 

La moderna Giovinazzo (dal XIX sec. ad oggi)

Nacque per caso, senza una precisa volontà della popolazione, e tanto meno in base ad un piano regolatore. Era l’anno 1704, quando i Domenicani iniziarono la costruzione del loro grandioso Concento fuori della città, in aperta campagna, ed ai limiti della insenatura portuale, e quel gesto apparve audace, temerario, perché a nessuno sarebbe venuto in mente di abitare fuori delle mura cittadine ed in continuo rischio delle incursioni nemiche. Sennonché, nel 1797, si verifico un episodio imprevisto, che fece aprire gli occhi a tutto e determinò una svolta decisiva per l’avvenire della città. I sovrani di Napoli, Ferdinando IV e Maria Carolina, diretti nel Salento, avevano deciso di visitare la Cattedrale di Giovinazzo che, posta sull’estremo limite dell’antico abitato, di fronte al mare, non era facilmente accessibile; e la città, per festeggiare la circostanza, raccolse 270 ducati, restrinse l’insenatura portuale colmandola di terriccio, la spianò e ne ricavò un vasto piazzale chiamato Borgo. Quello spianamento fu una rivelazione, e già dalla seconda metà dell’800, anche le famiglie private cominciarono ad imitare l’esempio dei Domenicani, costruendo palazzi ed allineandoli attorno al Borgo: l’esodo era ormai iniziato, e ben presto sorsero le prime case lungo l’arteria stradale adriatica in direzione di Bari e di Molfetta. Così, pian piano l’epicentro della vita paesana si spostò dalla antica piazza Maggiore o di S. Maria di Costantinopoli al recente Borgo, e gettò le basi per una nuova espansione cittadina a forma di ventaglio aperto da levante a ponente.

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