Dall’XI al XII sec. nel mondo cristiano fu tutto un fiorire di bianche cattedrali. Lo stile in cui vennero edificate fu chiamato romanico, uno stile poliedrico e multiforme che in Puglia fu caratterizzato da una chiara apertura a modelli bizantini e arabi.
In questo periodo anche Giovinazzo seguì l’esempio degli altri paesi, abbandonò la vecchia Cattedrale di Santa Maria dell’Episcopio (oggi San Giovanni Battista) e in riva al mare edificò, dedicandola all’Assunta, la nuova Cattedrale romanica.
Di questa l’Ughelli (“Italia Sacra”) scrive che la Cripta era già stata edificata nel 1150 e la parte superiore completata nel 1180. In verità l’unica data certa è quella della sua consacrazione, celebrata il 2 maggio 1283 dal vescovo Giovanni dei Frati Minori, alla presenza di Rainaldo, arcivescovo di Bari.
Dalle Istorie del Paglia, dagli Atti delle Sacre Visite e da particolari venuti alla luce negli ultimi restauri, si può arguire che la cattedrale romanica aveva pianta basilicale, divisa in tre navate da otto colonne di marmo alternate a 12 pilastri polistili, sui quali erano impostati archi a tutto sesto. Tanto la navata centrale quanto le laterali si prolungavano oltre il transetto in presbiterio ed avevano in fondo absidi contenute.
L’intera copertura del tempio era a capriate e il presbiterio aveva una pavimentazione musiva. Due torri campanarie e di vedetta fiancheggiavano la facciata ad oriente e due scale portavano alla cripta, scompartita in 15 crociere e sostenuta da 10 colonne e pilastri.
Di tutto questo oggi, ad eccezione del portale a meridione, della facciata orientale e del complesso cripta – presbiterio, non resta più nulla. Già nel ‘500, dopo il Concilio di Trento e con il barocco alle porte, vengono eseguite le prime modifiche dal Briziano (1549), poi dal Masi (1611) e dall’Alfieri (1671).
Ma è con il Chiurlia che ha inizio la trasformazione radicale dell’impianto romanico e, infine, toccherà al suo successore Paolo De Mercurio (1731), di “infausta memoria”, completare l’opera o meglio, a dirla con il Marziani, “… e il sacrilegio artistico fu compiuto”.